ARTOUR-O il MUST
Variazioni sul tema Innovazione e Musei parlando della storia del nostro bel idioma a proposito dell’erigendo Museo della Lingua Italiana – passo passo con Dante.

Intervento di Carla Magnan, frutto di letture (che riporto) e riflessioni
Tutti sanno che Dante è il “padre della lingua”, ma è difficile capirlo appieno finché non si cominciano a dare un po’ di numeri. È stato calcolato che più dell’80% del lessico fondamentale italiano è già presente nella Commedia; in particolare il 60% circa delle parole oggi più usate esistevano prima, e Dante le ha tramandate fino a noi.

Credito immagine : https://pillolediconoscenza.it/le-parole-un-gioco-di-relazioni/
Il restante 20% invece l’ha inventato lui, attingendo al latino, al francese, ai dialetti o semplicemente alla propria fantasia. Molte le usiamo ancora oggi: per esempio tutte le volte che “inoltriamo”
un’email lo dobbiamo a lui, inventore del verbo “inoltrare”.1
Dovendo partire per i mei ragionamenti su suggerimento di Tiziana Leopizzi da qualche terzina della Commedia, tra gli altri vocaboli da lui riportati ho scelto il verbo “vagheggiare”.
Dante, Purgatorio XVI, vv. 85-90
“Esce di mano a lui che la vagheggia
prima che sia, a guisa di fanciulla
che piangendo e ridendo pargoleggia,
l’anima semplicetta che sa nulla,
salvo che, mossa da lieto fattore,
volontier torna a ciò che la trastulla.
Di picciol bene in pria sente sapore; quivi s’inganna, e dietro ad esso corre,
se guida o fren non torce suo amore.”
Questo verbo ci mette davanti alla complessità del significato dell’aggettivo “vago”. Oggi gli ricolleghiamo quasi sempre i significati di incerto, indefinito, ma a ben guardare (o ad ascoltare) questa parola ci comunica molto di più. Vago è colui o ciò che si muove qua e là senza una meta certa, vagando appunto, instabilmente: può essere vago il vento, vaga la fantasia.
E la parola da un significato quasi “negativo” ne assume un altro più affascinante, suggerendoci una delle estensioni più aggraziate della nostra lingua: il vago diventa il desideroso, il voglioso, agendo con volubilità ciò da cui è attratto.
E un passo dopo l’altro, collegandoci a questo immaginario, diventa il leggiadro, il bello, l’amabile ed il suo verbo prende la forma del contemplare con ammirazione, del rimirare a lungo.2
Le parole hanno viaggiato nel corso di secoli al seguito degli spostamenti degli uomini, e essi ne esportavano il senso ed il suono, creando più o meno consapevolmente trasformazioni, accoppiamenti e modifiche. Ma il “viaggio” delle parole implica anche la modifica del vocabolario, cambiamenti o perdita del senso delle parole o addirittura la loro cancellazione. “Molte parole hanno la capacità di dare voce a cose che altrimenti non vedremmo creando un’idea dove prima non c’era e ci consentono di far risuonare la realtà in modo diverso, nuovo. Alcune di esse possono illuminare il nostro immaginario perchè sono illuminati.
Tutte, sono musica e fanno risuonare la realtà in modo diverso, più preciso, più mirato, modificando la sua percezione.”3 Ogni vocabolo può smuovere interi universi che riguardano la memoria collettiva, l’immaginario individuale anche sensoriale, l’identità, la visione che si ha del mondo, il suono che si dà alle cose del mondo.
Contribuire a tutelare il linguaggio e la sua ricchezza fa si che attraverso le parole anche le più antiche si possa rileggere ed reinventare la realtà. Questa può essere una delle soluzioni per combattere l’inversione dell’effetto Flynn4: il QI medio della popolazione mondiale, che dal dopoguerra alla fine degli anni ’90 era sempre aumentato, nell’ultimo ventennio è invece in diminuzione. Dai test effettuati sembra che il livello d’intelligenza misurato diminuisca proprio nei paesi più sviluppati.
Una delle cause potrebbe essere proprio l’impoverimento del linguaggio. Diversi studi dimostrano infatti la diminuzione della conoscenza lessicale e l’impoverimento della lingua: non si tratta solo della riduzione del vocabolario utilizzato, ma anche delle sottigliezze linguistiche che permettono di elaborare e formulare un pensiero complesso.
Spingo spesso i miei studenti ad una sfida: confrontare un classico della cinematografia come “L’erba del vicino è sempre la più verde” famoso film del 1960 con Cary Grant e Debora Kerr con un qualunque film americano anche di qualità degli ultimi 15/20 anni.

L’erba del vicino è sempre più verde (1960)
La sfida consiste nel misurare la quantità di testo recitato, i tempi usati, le parole scelte per una determinata azione e di quantificarle in tempo cinematografico impiegato per compierle. Molti di loro non riescono a rimanere concentrati per riuscire a svolgere il compito assegnato. Il risultato è che la quantità di parole e verbi usati per descrivere le azioni o sottolineare un avvenimento è di molto superiore rispetto a qualunque film più o meno contemporaneo. La graduale scomparsa dei tempi (congiuntivo, imperfetto, forme composte del futuro, participio passato) dà luogo a un pensiero quasi sempre al presente, limitato al momento: incapace di proiezioni nel tempo. Senza parole per costruire un ragionamento, il pensiero complesso è reso impossibile.
Più povero è il linguaggio, più il pensiero scompare. La storia è ricca di esempi e molti libri (Georges Orwell – “1984”; Ray Bradbury – “Fahrenheit 451”) hanno raccontato come tutti i regimi totalitari hanno sempre ostacolato il pensiero, attraverso una riduzione del numero e del senso delle parole. Se non esistono pensieri, non esistono pensieri critici. E non c’è pensiero senza parole.
Contribuire a tutelare il linguaggio e la sua ricchezza fa si che attraverso le parole si possa rileggere ed reinventare la realtà. Come salvare alcune di esse dall’oblio e riportarle alla nostra attenzione e soprattutto al nostro uso?
Per ricollegarmi all’oggetto del mio intervento, prendo spunto da un articolo uscito recentemente: “Quattro modi per rovinare Dante e un modo per salvarlo”5 di Justin Steinberg.I quattro modi per rovinarlo sono così classificati:
1. Dante è solo per dantisti. Questo è il presupposto più diffuso e opprimente che minaccia la disciplina: se non hai studiato Dante per almeno un decennio non puoi capirlo.
2. Dante è uno di noi. Questo presupposto sembrerebbe più condivisibile di quello precedente. E invece è più insidioso. Questo processo di familiarizzazione rende la poesia di Dante più accessibile, sì; ma anche meno stimolante. Ma perché mai l’arte, per piacerci, dovrebbe essere di facile approccio?
3. Dante è un poeta cattolico. E’ impossibile non notare l’ascesa del dantismo cattolico. Gli studiosi che lavorano con questo orientamento tendono a minimizzare il conflitto nei testi di Dante.
4. Dante è un monumento. Quest’ultimo presupposto è il principale responsabile delle celebrazioni in corso quest’anno. Dante fa oggi parte della cultura ufficiale. Nessuno è contro Dante, nessuno ne mette in discussione la grandezza. Tutti, al contrario, vogliono una fettina della torta Dante, per approfittare dell’associazione col suo nome: con la speranza che qualche traccia della sua autorità si trasmetta fino a loro. Ma in ogni caso abbiamo a che fare con fondi in cerca di idee invece che con idee in cerca di fondi.
Come salvare Dante. Ho invece in mente studiosi di altre discipline che si confrontano in modo serrato proprio con la poesia di Dante. Vorrei leggere saggi sui testi di Dante scritti da persone colte che non siano specialisti di Dante.
Come salverei io dunque Dante attraverso la lettura della Divina Commedia? Applicando diverse modalità di lettura e studio, attraverso lo spunto dato da “parole altrimenti smarrite”. Nasce quindi la possibilità di una consultazione del libro a ZIZINO, ovvero spizzicando una terzina qua e là (aprendo il libro a caso); oppure una lettura QUADRILARGA, ovvero più larga che alta, consultando il libro in orizzontale, accoppiando una terzina della pagina a sinistra con quella di destra.
Se si possiede una certa dose di ardimento, suggerisco una lettura a GORGHIPROFÓNDA (dotata di profondi abissi) e leggere abbinamenti di versi canto dopo canto, oppure a MUTOPARLANTE (parola meravigliosa, la mia preferita, ossia che suscita emozioni attraverso il linguaggio visivo, senza usare le parole), a partire dalle tavole che illustrano le diverse sezioni6. Utilizzando questa modalità abbiamo la possibilità di consultare i magnifici manoscritti dello Yates Thompson 36, un codice della Divina Commedia conservato alla British Library di Londra Realizzato tra il 1444 e il 1450 per volontà del re di Napoli Alfonso V, o il Codice Lanciano risalente al 1336, il più antico codice della Commedia o quella di Dante Estense del 14 secolo.
Ma altre ancora possono essere le alternative. Per dirla con una frase attraverso “L’arte che progetta il passato, cavalca il presente e promette futuro”7, e che spinge quindi a nuove fantastiche prospettive di lettura.
1) Attraverso l’ultimo libro di Marco Santagata (scrittore, critico letterario, accademico italiano e soprattutto amico, recentemente scomparso): Le donne di Dante. Lungo il racconto prende vita un autentico carosello di figure femminili: donne di famiglia, dalla madre Bella alla moglie Gemma Donati e alla figlia Antonia, che si farà monaca col nome di Beatrice; donne amate, prima fra tutte il suo amore giovanile, la Bice Portinari trasfigurata nella Beatrice della «Vita Nova» e del «Convivio», e poi angelicata nel Paradiso; infine le dame e le gentildonne del tempo, come Francesca da Rimini e Pia de’ Tolomei, che pure trovano voce nelle cantiche della «Commedia»
2) Per la prima volta, un occhio attento si è posato sui fiori e sulle piante che compaiono nella Divina Commedia. Non era mai accaduto prima che l’opera magnifica di Dante Alighieri, conosciuta in tutto il mondo, venisse riletta e proposta in questa chiave.
3) ”Pigliare occhi, per aver la mente”. Dante, la Commedia e le arti figurative di Laura Pasquini ci prospetta una rilettura per immagini. Quali immagini ha visto Dante? Su quali di esse si è soffermato a pensare? Che ruolo hanno avuto nella scrittura della Commedia? In questo volume l’autrice ci guida come in un ideale viaggio (Firenze, Roma, Padova, Ravenna, Venezia) attraverso le opere che hanno agito sulla principale creazione dantesca. Mosaici, affreschi, sculture, di cui Dante non parla direttamente, ma che di certo hanno catturato la sua attenzione, finendo per concorrere in vario modo alla costruzione dell’immagine poetica. Ne risulta un libro fitto di richiami testuali e di prospettive inedite su quello che dovette essere l’immaginario di Dante e che magari lo ha aiutato a concepire le immagini che riempiono la Commedia. Possiamo così fantasticare su un suo colloquio con Giotto davanti alla cappella degli Scrovegni, o lo possiamo inseguire in un viaggio ideale a Firenze, Roma, Padova, Ravenna, Venezia alla Basilica di San Marco o al Torcello, al Battisfero di Firenze, a Ravenna, ammirando il Cielo stellato del Mausoleo di Gallia Placidia a Ravenna che ritroviamo nel Canto XI:
“Credette Cimabue nella pintura
Tener lo campo; e ora ha Giotto il grido, Sì che la fama di colui oscura.”
4) Ma quanta musica c’è nella Divina Commedia? Quante citazioni di brani? Perchè non sperimentare una musical-lettura? I personaggi che animano il Purgatorio si presentano al protagonista nell’atto di intonare brani appartenenti al repertorio salmodico ed innodico: il canto rappresenta una parte dell’espiazione della pena. Alcune anime di cui il protagonista percepisce la presenza stanno eseguono il Salmo 50; sente il Miserere risuonante in zone diverse degli spazi purgatoriali. Ed ecco piangere e cantar s’udìe Labia mea, Domine per modo tal, che diletto e doglia parturìe. (Pg. XXIII 10-12) oppure Summae Deus clementiae’ nel seno al grande ardore allora udi’ cantando, che di volger mi fé caler non meno; In exitu Israel de Aegypto cantavan tutti insieme ad una voce con quanto di quel salmo è poscia scripto. (Pg. II 46-48)8
5) Se ho parlato di piante perchè non citare gli animali, attraverso la proposta di uno spettacolo musicale: Vox in Bestia, un nuovo bestiario d’amore di e con Laura Catrani, soprano e Tiziano Scarpa, autore dei testi e voce narrante. Qui prendono vita ( e voce) Cerbero, il Minotauro, l’agnello tra due lupi e il cane tra due daini, l’allodola, il pellicano. Ma anche il grifone, l’aquila imperiale, la volpe eretica, il drago diabolico. La Commedia di Dante, tre le sue pieghe infinite, offre anche il dono di uno straordinario “bestiario poetico”: fantastico, irto di simboli, ma al tempo stesso reale. In cui fiere, bestie e animali immaginari sono sempre un tramite tra gli uomini e Dio, tra le anime dei morti e la luce divina verso la quale tutte guardano. Come scrive in questo libro consigliassimo Giuseppe Ledda, l’autore del Il bestiario dell’aldilà. Gli animali della Commedia di Dante, “una tra le presenze più sorprendenti del poema dantesco è quella degli animali. Si tratta di una presenza continua e variatissima, che si apre nel primo canto dell’Inferno con la lonza, il leone e la lupa, le cosiddette tre fiere”, e arriva sino alle api, cui sono paragonati gli angeli nell’empireo”.
6) Infine, Come Dante può salvarti la vita. Conoscere fa sempre la differenza di Enrico Castelli Gattinara. Nell’era dell’effetto Dunning-Kruger, quella distorsione per cui chi meno sa più crede di sapere, è bello scoprire che invece ci sono stati casi – e tanti – in cui sapere, ricordare ha fatto letteralmente la differenza tra vivere o morire, tra fortuna e miseria, tra resistenza e disperazione. E non il conoscere pratiche estreme di sopravvivenza, ma il fatto di riportare alla mente il brano di un grande classico imparato a memoria ai tempi della scuola, di sapere dove posare le dita davanti a uno strumento musicale, di riuscire a interpretare un dipinto o una scultura, di comprendere un’opera teatrale. Il fatto di avere un piccolo ma solido bagaglio di cultura. Sì, cultura. Enrico Castelli tutti i giorni deve trovare il modo per convincere i suoi ragazzi che sapere serve. E quando loro sbuffano alla richiesta di imparare qualche verso di Dante a memoria, racconta loro la storia di un uomo che grazie a quelle terzine è sopravvissuto al campo di concentramento.
Dalle parole più o meno smarrite e da conservare, siamo arrivati a capire che la lingua non serve a risolvere problemi ma a produrre domande anche sulle svariate possibilità e significati della nostra comunicazione.
Concludo con questa bellissima frase tratta da un altro libro, Dante ci libera tutti:
“Ci si aspetterebbe che un poema di 14.233 versi dica tutto quello che ha da dire. E invece no, in tantissime occasioni la Commedia tace, eppure non parla mai così forte come quando sta zitta”9.
E di tantissime inaspettate cose, aggiungo io.
Note
1 https://unaparolaalgiorno.it/significato/contrappasso2 Ivi
3 Achille Bonito Oliva, dalla prefazione de “Il libro delle parole altrimenti smarrite” di Sabrina D’Alessandro (BUR saggi Rizzoli)
2 Ivi
3 Achille Bonito Oliva, dalla prefazione de “Il libro delle parole altrimenti smarrite” di Sabrina D’Alessandro (BUR saggi Rizzoli)
4 https://it.wikipedia.org/wiki/Effetto_Flynn
5 https://www.lindiceonline.com/letture/quattro-modi-rovinare-dante-un-modo- salvarlo/?fbclid=IwAR1E5JEZ3kup5i4_8sCj86nz5oQXHjRAqcQ8yYDfnp34q6ehI5aJCSxH90w
6 Queste parole le ho trovate in questo magnifico libro già citato: “Il libro delle parole altrimenti smarrite” di Sabrina D’Alessandro
7 Achille Bonito Oliva
8 “Aure musicali in Dante” di Chiara Cappuccio, Universidad Complutense de Madrid
9 “Dante libera tutti” di Moretti, Congiu e Masetti. (Una parola la giorno)

Carla Magnan è compositore e didatta. “Talento e disciplina potrebbe intitolarsi un saggio sulla sua musica”. (Renzo Cresti, Musica Presente, Tendenze e compositori di oggi). L’8 marzo 2018 è stata nominata dal Sindaco di Genova Marco Bucci Ambasciatrice di Genova nel Mondo insieme ad altre 28 eccellenze femminili legate alla Città. http://www.carlamagnan.com
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